La riduzione di GluN ippocampale riproduce la
schizofrenia
GIOVANNI
ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XXI – 26
ottobre 2024.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia”
(BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi
rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente
lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di
pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei
soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
La
ricerca sull’eziopatogenesi della schizofrenia ha evidenziato diverse
possibili cause e vie che portano alle manifestazioni cliniche su cui si basa
la diagnosi di disturbo schizofrenico, confermando la tesi che questa società
scientifica sostiene da ventuno anni. La ricerca sulle basi molecolari,
cellulari e di sistema neuronico delle alterazioni fisiopatologiche causanti la
sintomatologia diagnostica ha due principali riferimenti: l’associazione con
geni di rischio e il reperimento post-mortem nel cervello di persone con diagnosi
verificata di psicosi schizofrenica.
Per
decenni è stata esaminata la possibilità che il lobo temporale mediale, e
specificamente la formazione dell’ippocampo con le strutture connesse, fosse
una sede elettiva di alterazioni all’origine dei sintomi psicotici. Un dato di
neuropatologia molecolare coerente con questa ipotesi è stato ottenuto da
analisi post-mortem di tessuto cerebrale di soggetti diagnosticati in
vita di disturbo schizofrenico: specificamente e pressoché esclusivamente nel giro
dentato dell’ippocampo si rileva una ridotta espressione della subunità
GluN1 dei recettori NMDA del glutammato, il neurotrasmettitore eccitatorio più
presente nelle sinapsi dell’encefalo. Numerosi studi, a completamento e
conferma di questo dato, hanno rilevato e documentato l’iperattività
ippocampale a valle, nelle regioni CA3 e CA1.
Fino ad
oggi non si è riusciti a scoprire molto dei meccanismi dell’iperattività
ippocampale, che ormai è considerata un biomarker della psicosi
schizofrenica. Daniel S. Scott e colleghi, hanno affrontato sperimentalmente
questo problema realizzando una “traduzione inversa” della patologia
schizofrenica umana nel topo e, in tal modo, sono riusciti a ottenere risultati
di notevole rilievo.
(Scott
D. S. et al., Schizophrenia pathology reverse-translated into mouse
shows hippocampal hyperactivity, psychosis behaviors and hyper-synchronous
events. Molecular Psychiatry – Epub ahead of print doi: 10.1038/s41380-024-02781-5, 2024).
La
provenienza degli autori è
la seguente: Department of Psychiatry, The University
of Texas Southwestern Medical Center, Dallas, TX (USA); O’Donnel Brain
Institute, The University of Texas Southwestern Medical Center, Dallas, TX
(USA); Department of Neuroscience, The University of Texas Southwestern Medical
Center, Dallas, TX (USA).
Come abbiamo fatto più volte in precedenza[1], cogliamo
l’occasione di questa recensione, sia per introdurre il lettore non specialista
agli aspetti essenziali della clinica e della neuropatologia, sia per integrare
queste nozioni con alcuni aggiornamenti non ancora inclusi nei manuali di
clinica psichiatrica. Parte dei brani riportati di seguito sono stati citati in
Note e Notizie 09-03-24 Infiammazione nella patogenesi della schizofrenia;
mentre si è scelto di non riportare gli aggiornamenti di genetica più recenti,
per i quali si rimanda a due studi presentati in aprile[2]; più
avanti, in questo testo, si danno le indicazioni per introdursi alla genetica e
alla genomica della schizofrenia.
“L’approccio
clinico alla schizofrenia o psicosi schizofrenica prevede la
ripartizione delle manifestazioni in tre gruppi di segni e sintomi: positivi,
negativi e cognitivi. I sintomi positivi, ovvero produttivi,
e in particolare deliri e allucinazioni, sono i più sensibili ai trattamenti
con farmaci antipsicotici. Al contrario, i sintomi negativi, espressione
di deficit funzionali, quali povertà di linguaggio, negativismo, anedonia,
anaffettività, perdita di motivazione e riduzione della reattività emozionale,
insieme con un deficit cognitivo progressivo, sono i più resistenti al
trattamento, in quanto non possono giovarsi dell’effetto dei farmaci
attualmente in uso, che tendono a ridurre l’eccesso funzionale dopaminergico o
a riequilibrare altri neurotrasmettitori, ma non possono surrogare funzioni
deficitarie”[3]. Le basi
neurofunzionali dei sintomi al livello di sistemi neuronici sono studiate
mediante fMRI, riportando le funzioni alterate alle tre reti cerebrali principali DMN (default mode
network), CEN (central executive
network), SN (salience network); ma questo tipo di
studi ha evidenziato alterazioni in tutte e tre le reti e nelle loro
interazioni in tutti i casi di schizofrenia.
Chi voglia introdursi alla neurobiologia del disturbo
può leggere: Note e Notizie 16-09-23 Appunti di neurobiologia della
schizofrenia; per la genetica: Note e Notizie 23-09-23 Appunti di
genetica della schizofrenia; Note e Notizie 21-10-23 Genomica della
schizofrenia e sue implicazioni.
A proposito della patogenesi: “La patogenesi
della schizofrenia rimane ancora indefinita, nonostante si siano acquisite
nel campo della fisiopatologia nozioni estese dall’ambito neurochimico a quello
strutturale, dal livello sinaptico a quello delle grandi reti neuroniche
dell’encefalo. La stessa genetica che, dal tempo delle analisi di associazione
del Psychiatric GWAS Consortium Coordinating
Committee (2009) si è arricchita di una quantità enorme di dati sui geni di
rischio, non ha fornito le indicazioni dalle quali si sperava di ricavare la ratio
di processi paradigmatici per l’eziopatogenesi di alterazioni probabilmente
eterogenee in termini molecolari, cellulari e di sistemi neuronici, ma
accomunate clinicamente da alcuni capisaldi sintomatologici.”[4]
Per inquadrare le nuove nozioni
nell’evoluzione della concezione della schizofrenia:
“La schizofrenia, che interessa l’1% della popolazione mondiale,
costituendo una delle maggiori cause di disabilità mentale, è la più grave
delle alterazioni psichiche che accompagnano l’intera vita di un paziente
psichiatrico, dall’esordio in età giovanile o all’inizio dell’età adulta fino
alla morte, di dieci anni più precoce della media nella popolazione generale.
La concettualizzazione di questo disturbo come malattia delle mente si deve al
grande nosografista tedesco Emil Kraepelin che, prendendo le mosse dal caso di
uno studente brillante diventato inabile per i compiti cognitivi più semplici
dopo la comparsa dei sintomi, identificò un piccolo gruppo di pazienti con un
simile decorso caratterizzato dalla perdita dell’intelligenza e, per questo
elemento che gli parve caratterizzante, propose la definizione diagnostica di demenza
praecox.
Era dunque ben presente l’aspetto relativo al limite cognitivo, poi per
decenni trascurato, soprattutto per l’influenza delle teorie psicodinamiche
sulla genesi del disturbo, che attribuivano a conflitti inconsci lo sviluppo di
un funzionamento mentale aberrante e non all’alterazione del fondamento neurobiologico
cerebrale, necessario anche per i più elementari processi di estrazione di
significato dai messaggi verbali, oltre che per induzione, deduzione,
riconoscimento di nessi di causalità e vincoli condizionali.
Lo stesso Eugen Bleuler[5], che introdusse il termine
“schizofrenia” per indicare la frequente scissione (schizo-) nello
psichismo e, in particolare, la separazione del tono affettivo ed emotivo dalla
cognizione espressa nella comunicazione, aveva ben presente il difetto
intellettivo che peggiorava col progredire della malattia.
A quell’epoca, l’opinione degli psichiatri era concorde nel ritenere questo
quadro psicopatologico la conseguenza di una malattia del cervello con una
forte base genetica, e caratterizzata da un processo patologico che si
supponeva diffuso nel parenchima cerebrale, con particolare compromissione
della corteccia, ritenuta la base dei processi intellettivi. L’unica
possibilità esistente a quel tempo di studio del cervello consisteva
nell’osservazione necroscopica e nel prelievo autoptico di campioni di tessuto
cerebrale, per lo studio istologico.
Gli stessi padri fondatori della neuropatologia, Nissl, Alzheimer e
Spielmeyer, condussero ricerche istologiche post-mortem sul cervello di
pazienti schizofrenici, descrivendo apparenti alterazioni che si rivelarono
incostanti e non caratterizzanti[6]. In particolare, nel 1897 Alzheimer
segnalò una scomparsa locale di cellule gangliari negli strati esterni della
corteccia cerebrale; Klippel e Lhermitte (1906) descrissero zone di demielinizzazione
focale, il cui reale valore di reperto istopatologico fu contestato, molto
tempo dopo, da Adolf Meyer e poi da Wolf e Cowen. Anche Buscaino in Italia
(1921), capostipite di una famiglia di neurologi illustri, compì studi
neuropatologici sulla struttura del cervello schizofrenico, descrivendo
formazioni a grappolo, che si rivelarono poi artefatti di preparazione del
tessuto. Josephy (1930) descrisse una sclerosi cellulare e una degenerazione
grassa degli strati corticali, che non trovarono riscontro in altri studi.
Bruetsch, nel 1940, credette addirittura di aver rinvenuto dei focolai
reumatici nell’encefalo psicotico; sicuro della bontà e significatività del
reperto, postulò un ruolo eziologico per la febbre reumatica.
Nel 1952 Winkelman riscontrò nel cervello schizofrenico una perdita diffusa
di neuroni, ma furono sollevati dubbi circa la significatività del reperto che
si ritenne potesse essere stato generato dalle procedure istologiche impiegate.
Allora, nel 1954, Cécilie e Oskar Vogt[7], per superare questo problema,
allestirono uno studio che prevedeva un’accurata indagine seriale degli
emisferi cerebrali mediante sezioni sottili dello spessore di 8 μ in uno
studio controllato, in cui i reperti istologici dei cervelli dei pazienti erano
comparati con identiche sezioni del cervello di persone non affette da
psicopatologia e decedute per cause non cerebrali alla stessa età. I Vogt
trovarono in tutti i cervelli schizofrenici alterazioni assenti nei cervelli
sani, anche se la localizzazione, l’aspetto istologico e la densità variavano
da un caso all’altro. I tre reperti principali dei Vogt furono cellule
colliquanti (Schwundzellen), degenerazione vacuolare e liposclerosi.
Negli ultimi decenni, dopo oltre cinquanta anni durante i quali la
concezione neuropatologica della schizofrenia è stata abbandonata in luogo di
teorie eziologiche psicoanalitiche, relazionali e comportamentali, si è tornati
su più solide basi, fornite dalle metodiche di neuroimmagine, dalla nuova
genetica e dalle scoperte di neurobiologia molecolare e neurochimica, a
concepire le psicosi schizofreniche come conseguenza di alterazioni del
cervello[8]. Dalle differenze nel metabolismo
cerebrale, nell’espressione dei recettori, nelle dinamiche sinaptiche, negli
equilibri fra sistemi neuronici, nelle funzioni degli astrociti, fino a quelle
emerse dallo studio delle connessioni secondo i metodi del campo specializzato
della connettomica, si dispone di un’imponente raccolta di dati che individua
le basi cerebrali di una fisiopatologia, che non potrebbe essere spiegata nei
termini obsoleti della ‘reazione maggiore’, contrapposta alla ‘reazione minore’
costituita dai disturbi d’ansia”[9].
In passato abbiamo affrontato il problema allora
emergente dell’alterazione della funzione talamica nella schizofrenia[10]/[11].
A proposito dell’aver a lungo
trascurato in psichiatria i sintomi cognitivi, in parte coincidenti con alcuni
sintomi negativi della schizofrenia, due anni fa si osservava:
“La cultura che voleva caratterizzare
anche la distinzione fra la neurologia, come la branca medica che si occupa di
ictus, epilessie, tumori, traumi cerebrali, e così via, e la psichiatria, che
si occupa di ansia, fobie, attacchi di panico, depressione e disturbi con
deliri e allucinazioni, sollecitava l’attenzione sui sintomi “propriamente
psichiatrici” della schizofrenia, perché non si cadesse nell’errore di
considerarla una “demenza precoce” come era accaduto nell’Ottocento.
Probabilmente, questa enfasi eccessiva ha portato a trascurare per molto tempo
la considerazione e lo studio sistematico dell’indebolimento cognitivo”[12].
In realtà, nella clinica
psichiatrica del disturbo schizofrenico si distinguono sintomi positivi, quali
deliri e allucinazioni, sintomi negativi,
come l’anaffettività e il negativismo, e sintomi
cognitivi, quali disorganizzazione del pensiero, linguaggio soggettivo o
inappropriato, deficit di attenzione e memoria, senza contare le frequenti
stereotipie di moto.
Per introdurre alle interpretazioni neuroevolutive dei
sintomi della schizofrenia correntemente adottate dagli psichiatri, mi rifaccio
a un articolo del 20 marzo 2021[13]:
“Due anni fa ho ricordato un modello neuroevolutivo della schizofrenia[14] attualmente oggetto di insegnamento
in molte facoltà mediche di tutto il mondo e proposto per la prima volta da
Keshavan nel 1999: durante l’embriogenesi noxae
evolutive portano alla displasia delle strutture costituenti alcune specifiche
reti neuroniche, causando in tal modo i segni premorbosi cognitivi e
psicosociali; durante l’adolescenza, un’eccessiva eliminazione di sinapsi
determina un’iperattività dopaminergica fasica e precipita la psicosi. Keshavan
nota che, dopo la manifestazione clinica della malattia, le alterazioni
neurochimiche possono condurre a processi neurodegenerativi.
Il motivo del successo di questo modello è dato dal ‘sostegno’ ricevuto da
numerose evidenze sperimentali. In realtà, si tratta di una ricostruzione
ragionevole e coerente con i dati dai quali è stata desunta, e nulla esclude
che sia corretta; tuttavia rimane troppo generica rispetto all’esigenza di
capire perché e come le ‘noxae’ causino una displasia
responsabile di quei sintomi precoci e perché si determini una perdita di
sinapsi che causa iperfunzione dopaminergica[15]”[16].
Ritorniamo ora allo studio qui recensito di Daniel Scott e colleghi che, in
precedenza, avevano analizzato uno specifico ceppo murino KO specifico per
GluN1 nei neuroni del giro dentato dell’ippocampo, che presentava una marcata
iperattività ippocampale associata a un fenotipo comportamentale caratterizzato
da tratti considerati equivalenti di sintomi psicotici.
Ora i ricercatori hanno realizzato un topo “reverse-translation”
per studiare gli elementi neurali critici per la neuropatologia schizofrenica,
e 1) hanno espresso nelle cellule a granulo del giro dentato dell’ippocampo un
DREADD inibitorio (pAAV-CaMKIIa-hM4D(Gi)-mCherry), e 2) hanno inibito continuamente per 21 giorni la
regione in topi C57BL/6J adolescenti (6 settimane) e adulti (10 settimane) col
Composto 21 (C21), un DREADD agonista.
Dopo questo periodo, i ricercatori hanno quantificato l’attività nei sotto-campi
ippocampali, valutando i seguenti parametri: 1) l’espressione di cFos; 2) il
comportamento mediato dall’ippocampo; 3) i potenziali di campo locali dell’ippocampo
con una tecnica di rilevazione intracerebrale e monitoraggio continuato nel
tempo.
L’inibizione del giro dentato durante l’adolescenza ha generato un
significativo incremento dell’attività neuronica nelle regioni CA3 e CA1, ha
arrecato danno alla cognizione sociale dei roditori e alla loro memoria di
funzionamento (working memory), ha prodotto evidenze di aumentata
attività dei potenziali di campo locali, come raffiche di scariche sincrone
spontanee, che Scott e colleghi chiamano eventi iper-sincronici (HSE)
nell’ippocampo.
La stessa inibizione del giro dentato durante l’età adulta non ha
prodotto alcuno di questi effetti.
Presi insieme i risultati emersi, per il cui dettaglio si rinvia alla
lettura integrale del testo dell’articolo originale, suggeriscono l’esistenza
di un periodo sensibile nel corso dello sviluppo, in cui l’ippocampo è
vulnerabile all’inibizione del giro dentato, che produce iperattività durante
il resto della vita e comportamento simil-psicotico.
Il prosieguo degli studi potrà aiutarci a comprendere il valore di questo
risultato nella comprensione della patogenesi delle psicosi schizofreniche.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione
“NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni Rossi
BM&L-26 ottobre 2024
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of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze,
Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Note e Notizie 18-05-24
Amigdala e sua covarianza nella schizofrenia; Note e Notizie 18-05-24
Stem olfattive come modello di disfunzioni nella schizofrenia, ecc.
[2] Si vedano: Note e Notizie
27-04-24 Espressione genetica corticale e rapporti con autismo e schizofrenia;
Note e Notizie 20-04-24 Determinanti genetici condivisi tra autismo e
schizofrenia.
[3] Note e Notizie 18-11-23 Reti alterate nella schizofrenia con sintomi negativi
persistenti.
[4] Note e Notizie 04-03-23 Il deficit di recettori H2 nella patogenesi della
schizofrenia.
[5] Sulla storia delle origini della
diagnosi di schizofrenia e sull’evoluzione del concetto in psicopatologia vi
sono numerosi riferimenti negli scritti pubblicati nelle “Note e Notizie”;
nella sezione “In Corso” sotto il titolo “La concezione dei disturbi mentali
nella storia” si può leggere una cronologia che, in brevissime sintesi
concettuali, elenca l’evoluzione che si è avuta nel concetto di malattia
mentale dalle prime tracce scritte, risalenti al 3400 a.C., fino ai giorni nostri.
[6] Le nozioni storiche riportate di
seguito sono tratte da una relazione del nostro presidente; per le indicazioni
bibliografiche complete si veda in Silvano Arieti, Interpretazione
della Schizofrenia, in 2 voll., Feltrinelli, Milano 1978.
[7] Ai coniugi Vogt è intitolato un
istituto di ricerca nel quale è esposta un’interessante collezione di cervelli.
Oskar Vogt divenne celebre per lo studio del cervello di Lenin, nel quale
rilevò cellule piramidali giganti della corteccia di dimensioni notevolmente
superiori alla media.
[8] Sicuramente una parte non
trascurabile in questa evoluzione l’hanno avuta i numerosi istituti di ricerca
che hanno dedicato le proprie attività alla ricerca di correlati neurobiologici
dei disturbi mentali e le riviste, come Molecular Psychiatry, che hanno
consentito la diffusione della conoscenza di risultati che hanno modificato dei
punti di vista che resistevano da decenni.
[9] Note e Notizie 16-11-19
Trattamento cognitivo della schizofrenia. Si veda anche: Note e Notizie
07-12-19 Differenze in S100b tra persone affette da schizofrenia.
[10] Note e Notizie 17-03-21
Alterata funzione del talamo nella schizofrenia.
[11] Note e Notizie 03-07-21 Talamo
anteriore nei difetti cognitivi di autismo e schizofrenia.
[12] Note e Notizie 27-02-21 Il
deficit cognitivo della schizofrenia è legato alla disbindina. Si veda
anche lo studio maggiore sui rapporti fra geni associati alla schizofrenia e
volume delle aree cerebrali sottocorticali: Note e Notizie 20-02-16 Influenze genetiche su schizofrenia e volume sottocorticale.
Per i rapporti con la morfologia si veda anche: Note e Notizie 21-11-15 Nella schizofrenia la normale asimmetria
emisferica è ridotta e alterata e Note e Notizie 14-02-15 Segni di
schizofrenia che precedono i sintomi per una diagnosi precoce.
[13] Note e Notizie 20-03-21
Patogenesi della schizofrenia da splicing alternativo. Per questa
patogenesi si legga il testo integrale dell’articolo.
[14] Note e Notizie 16-02-19 Nella
schizofrenia la microglia riduce le sinapsi.
[15] È evidente la costruzione deduttiva
da dati e inferenze precedenti. Quando è stato proposto il modello, il campo di
studi della fisiopatologia della schizofrenia era ancora dominato dall’ipotesi
dell’iperfunzione dopaminergica, desunta dall’azione anti-dopaminergica di
fenotiazinici, butirrofenonici e altri neurolettici di prima generazione efficaci
nel ridurre deliri e allucinazioni degli schizofrenici. Negli ultimi venti anni
si è consolidata l’evidenza della partecipazione di tutti i sistemi
trasmettitoriali alla fisiopatologia, con una prevalenza di interesse anche
farmacologico per i sistemi neuronici a segnalazione glutammatergica.
[16] Note e Notizie 20-03-21
Patogenesi della schizofrenia da splicing alternativo.